Il Post Coronavirus con Supply Chain antifragili

Il Post Coronavirus con Supply Chain antifragili

 

Un articolo di:
Gabriele Ghini

Managing Director Transearch e Presidente ProperDelMare Consulting; Professore a Contratto Università Cattolica
Paolo Rangoni
ex CEO SDA Courier e Supply Chain Director Carrrefour Italy; Distinguished Service Award CSCMP Italy; Membro del Board Council of Supply Chain Management Professionals Italy Roundtable

L’emergenza Coronavirus ci ha messi di fronte ad un’evidenza che per anni abbiamo non solo cercato di ignorare, ma favorito e fortemente implementato, ovvero che per molte produzioni tutto il mondo è Cina-dipendente.

La Cina ha il completo monopolio su innumerevoli componenti dell’elettronica, delle telecomunicazioni, del farmaceutico, di materie prime tessili, dell’automotive, della meccanica e altro. Negli anni l’efficientamento della logistica ha garantito l’economicità e la convenienza della concentrazione produttiva in un solo paese, ma è arrivato il momento di compiere una seria e approfondita analisi su questo modello di produzione.

Una recente analisi di Confindustria ha determinato l’integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore. Come ben illustrato dall’analisi di Confindustria, l’Italia è molto integrata nelle catene del valore globali ed il suo export dipende a monte o a valle per più del 50% dal funzionamento delle catene globali del valore; una loro interruzione o “fragilità” avrebbe impatti superiori in Italia rispetto a molti altri paesi mondiali ed UE.

Gli investimenti degli ultimi anni sono andati verso il controllo digitale della Supply Chain presupponendo il funzionamento ordinato delle varie fasi produttive in un incastro a mosaico sempre più complesso, ma apparentemente controllabile. Nella spasmodica ricerca di economicità si è favorita la ricerca di fornitori specializzati nella produzione di singoli componenti costruendo sistemi apparentemente efficienti, ma, al contempo, decisamente articolati e fragili.

Dalle equazioni della catena del valore sono stati omessi criteri di rischio che sono invece emersi in tutta la loro gravità a seguito della pandemia. La produzione di beni apparentemente a basso valore aggiunto (mascherine e disinfettanti solo per citare esempi emblematici) è stata localizzata nella sua totalità in paesi a basso costo di manodopera e il blocco dei trasporti ne ha causato l’improvvisa assenza dai nostri mercati con l’esplosione di pratiche speculative. Alcune realtà produttive più dinamiche e flessibili hanno rapidamente riconvertito le loro operation per provare a reagire e cercare di compensare le gravi lacune, ma ogni sforzo, anche se encomiabile e ben pubblicizzato non è riuscito a colmare il gap produttivo risalente a scelte perpetrate negli anni.

L’inevitabile conseguenza di questa drammatica situazione sarà un ripensamento globale della produzione e della Supply Chain, ma è fondamentale che si adottino subito dei criteri di risk analysis diversi rispetto al recente passato, che sappiano dare un peso e un valore al minor rischio di catene del valore più corte e con maggiori alternative in caso di failure di un anello della catena.

Un termine frequentemente utilizzato per misurare la tenuta dei processi produttivi è quello di resilienza che vorremmo analizzare e superare in questo articolo. Il significato originario di resilienza è la proprietà di un oggetto di sostenere gli urti senza spezzarsi, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in maniera variabile dopo la deformazione. In sintesi, la capacità di resistere agli shock rimanendo uguale a se stesso. La ricerca della resilienza comporta un’analisi del rischio che alla prova dei fatti, non è riuscita ad includere una variabile, come la pandemia, che era stata prevista già da tempo anche se non erano mai stati esaminati con lucidità i possibili impatti su un’economia sempre più globalizzata, frammentata, un vero e proprio gioco a incastri su scala planetaria.

Non si riesce a fare il conto delle volte nelle quali ci siamo sentiti dire da Top Manager di aziende e da Partner di Società di Consulenza Strategica che Produzione e Supply Chain sono delle commodity e l’attenzione deve essere focalizzata su Marketing e Finanza. Se sapremo trarre qualche insegnamento da questa catastrofe, ne seguirà un completo ripensamento del valore di tutti gli aspetti aziendali attribuendo pari dignità a ognuno di essi. E non possiamo certo dire che non eravamo stati avvertiti.

È di queste settimane la riscoperta di un video di Bill Gates del 2015 nel quale avvertiva il mondo della concreta possibilità di una prossima pandemia. Prima ancora di lui, Nassim Taleb, col “Cigno Nero” nel 2007 (un solo anno prima del 2008) e “Antifragilità. Prosperare nel disordine” nel 2013, aveva fornito il materiale concettuale per anticipare le inevitabili crisi e organizzarci di conseguenza.

Ascoltate questo passaggio: “Oggi nella vita socio economica quasi tutte le cose sono dominate dai Cigni Neri. Il nostro grado di sofisticazione ci porta continuamente oltre noi stessi, cercando cose che siamo sempre meno capaci di comprendere”.

L’affermazione “non era mai successo prima” non è una scusa adeguata per giustificare i nostri comportamenti sbagliati di fronte all’emergenza. Più le società diventano complesse con innovazioni sempre più sofisticate e con crescente specializzazione più sono esposte al tracollo.

Contrariamente a ciò che si pensa un sistema complesso non ha bisogno di strutture regole complicate, né di politiche astruse. Più semplice è meglio è.

Complicando si innescano reazioni a catena che moltiplicano gli effetti imprevedibili”. Se queste sono le nozioni teoriche sulle quali basare le nostre catene produttive e distributive, i paradigmi vanno radicalmente modificati. L’obiettivo deve essere il superamento della resilienza per andare verso l’antifragilità, ovvero una situazione che contempli un numero sufficiente di ridondanze da permettere di affrontare con serenità situazioni non prevedibili. Quando si parla di catena alimentare uno si immagina un numero importante di passaggi, ma in realtà sono al massimo tre sulla terraferma, quattro in acqua.

Vi faccio qualche esempio: erbaruminante-uomo; erba-gazzella-leone (qualcuno qui potrebbe mettere “cacciatore”, ma sarebbe una forzatura alimentare); plancton-pesciolino-tonno-uomo; Quando diventano quattro sulla terraferma vediamo già qualche problema che sarebbe stato bene evitare: fiore-insetto-pipistrello-cinese! L’evoluzione ha trovato un modo semplice e lineare per garantire la vita sulla terra e da questo modo dovremo trarre ispirazione.

Riassumendo e andando sul concreto delle Supply Chain:

  • disegnare catene corte con fornitori multipli e
    logisticamente diversificati;
  • prevedere anche fornitori fisicamente vicini eventualmente da supportare e mantenere attivi pur se economicamente meno performanti rispetto a quelli lontani;
  • auditing dell’intera catena del valore che arrivi al fornitore
    del fornitore e minimizzi i rischi con l’individuazione
    costante di fonti alternative;
  • auditing tecnico e geopolitico per comprendere e anticipare rischi di qualunque natura.

Dal punto di vista manageriale sarà necessario individuare e formare una nuova tipologia di Chief Operation Officer e Supply Chain Director dotati di sensibilità e flessibilità adatte alla gestione dei nuovi scenari. Manager capaci di semplificare e diversificare le catene, che vivano in diretta la realtà dei fornitori, che partecipino agli audit e condividano le decisioni con il resto del team di comando.

Chief Operation Officer e Supply Chain Director con esperienze internazionali in grado di concepire delle architetture di Value Chain che diano il giusto peso al principio di “antifragilità”. Capaci di comprendere e valorizzare i trade-off tra costo di approvvigionamento, livello di servizio, lead time, carbon footprint in diversi scenari di crisi con le relative strategie di approvvigionamento, produzione e distribuzione. Esperti di robotica e ridisegno dei processi industriali per gestire la transizione da processi manuali a un maggiore grado di automazione; culturalmente
aperti a Smart Working & Telepresence, capaci di ridisegnare i processi anche di backoffice per ridurre dipendenza da riunioni di persona e dal vincolo di presenza in uno specifico luogo fisico.

Le nuove parole d’ordine saranno: semplicità, diversificazione, ridondanza, vicinanza, controllo e ricerca dell’antifragilità, senza sottovalutare alcun punto debole della catena.
Sarà necessario inserire nel bilancio di sostenibilità una nuova serie di voci che permettano di valutare in anticipo i prossimi Cigni Neri anche a costo di peggiorare le performance trimestrali, ma nell’ottica di una maggiore sostenibilità nel medio termine, quando – non se, ma quando – si concretizzerà una nuova crisi.

Il Post Coronavirus con Supply Chain antifragili

 

Un articolo di:
Gabriele Ghini

Managing Director Transearch e Presidente ProperDelMare Consulting; Professore a Contratto Università Cattolica
Paolo Rangoni
ex CEO SDA Courier e Supply Chain Director Carrrefour Italy; Distinguished Service Award CSCMP Italy; Membro del Board Council of Supply Chain Management Professionals Italy Roundtable

L’emergenza Coronavirus ci ha messi di fronte ad un’evidenza che per anni abbiamo non solo cercato di ignorare, ma favorito e fortemente implementato, ovvero che per molte produzioni tutto il mondo è Cina-dipendente.

La Cina ha il completo monopolio su innumerevoli componenti dell’elettronica, delle telecomunicazioni, del farmaceutico, di materie prime tessili, dell’automotive, della meccanica e altro. Negli anni l’efficientamento della logistica ha garantito l’economicità e la convenienza della concentrazione produttiva in un solo paese, ma è arrivato il momento di compiere una seria e approfondita analisi su questo modello di produzione.

Una recente analisi di Confindustria ha determinato l’integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore. Come ben illustrato dall’analisi di Confindustria, l’Italia è molto integrata nelle catene del valore globali ed il suo export dipende a monte o a valle per più del 50% dal funzionamento delle catene globali del valore; una loro interruzione o “fragilità” avrebbe impatti superiori in Italia rispetto a molti altri paesi mondiali ed UE.

Gli investimenti degli ultimi anni sono andati verso il controllo digitale della Supply Chain presupponendo il funzionamento ordinato delle varie fasi produttive in un incastro a mosaico sempre più complesso, ma apparentemente controllabile. Nella spasmodica ricerca di economicità si è favorita la ricerca di fornitori specializzati nella produzione di singoli componenti costruendo sistemi apparentemente efficienti, ma, al contempo, decisamente articolati e fragili.

Dalle equazioni della catena del valore sono stati omessi criteri di rischio che sono invece emersi in tutta la loro gravità a seguito della pandemia. La produzione di beni apparentemente a basso valore aggiunto (mascherine e disinfettanti solo per citare esempi emblematici) è stata localizzata nella sua totalità in paesi a basso costo di manodopera e il blocco dei trasporti ne ha causato l’improvvisa assenza dai nostri mercati con l’esplosione di pratiche speculative. Alcune realtà produttive più dinamiche e flessibili hanno rapidamente riconvertito le loro operation per provare a reagire e cercare di compensare le gravi lacune, ma ogni sforzo, anche se encomiabile e ben pubblicizzato non è riuscito a colmare il gap produttivo risalente a scelte perpetrate negli anni.

L’inevitabile conseguenza di questa drammatica situazione sarà un ripensamento globale della produzione e della Supply Chain, ma è fondamentale che si adottino subito dei criteri di risk analysis diversi rispetto al recente passato, che sappiano dare un peso e un valore al minor rischio di catene del valore più corte e con maggiori alternative in caso di failure di un anello della catena.

Un termine frequentemente utilizzato per misurare la tenuta dei processi produttivi è quello di resilienza che vorremmo analizzare e superare in questo articolo. Il significato originario di resilienza è la proprietà di un oggetto di sostenere gli urti senza spezzarsi, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in maniera variabile dopo la deformazione. In sintesi, la capacità di resistere agli shock rimanendo uguale a se stesso. La ricerca della resilienza comporta un’analisi del rischio che alla prova dei fatti, non è riuscita ad includere una variabile, come la pandemia, che era stata prevista già da tempo anche se non erano mai stati esaminati con lucidità i possibili impatti su un’economia sempre più globalizzata, frammentata, un vero e proprio gioco a incastri su scala planetaria.

Non si riesce a fare il conto delle volte nelle quali ci siamo sentiti dire da Top Manager di aziende e da Partner di Società di Consulenza Strategica che Produzione e Supply Chain sono delle commodity e l’attenzione deve essere focalizzata su Marketing e Finanza. Se sapremo trarre qualche insegnamento da questa catastrofe, ne seguirà un completo ripensamento del valore di tutti gli aspetti aziendali attribuendo pari dignità a ognuno di essi. E non possiamo certo dire che non eravamo stati avvertiti.

È di queste settimane la riscoperta di un video di Bill Gates del 2015 nel quale avvertiva il mondo della concreta possibilità di una prossima pandemia. Prima ancora di lui, Nassim Taleb, col “Cigno Nero” nel 2007 (un solo anno prima del 2008) e “Antifragilità. Prosperare nel disordine” nel 2013, aveva fornito il materiale concettuale per anticipare le inevitabili crisi e organizzarci di conseguenza.

Ascoltate questo passaggio: "Oggi nella vita socio economica quasi tutte le cose sono dominate dai Cigni Neri. Il nostro grado di sofisticazione ci porta continuamente oltre noi stessi, cercando cose che siamo sempre meno capaci di comprendere”.

L’affermazione “non era mai successo prima” non è una scusa adeguata per giustificare i nostri comportamenti sbagliati di fronte all’emergenza. Più le società diventano complesse con innovazioni sempre più sofisticate e con crescente specializzazione più sono esposte al tracollo.

Contrariamente a ciò che si pensa un sistema complesso non ha bisogno di strutture regole complicate, né di politiche astruse. Più semplice è meglio è.

Complicando si innescano reazioni a catena che moltiplicano gli effetti imprevedibili”. Se queste sono le nozioni teoriche sulle quali basare le nostre catene produttive e distributive, i paradigmi vanno radicalmente modificati. L’obiettivo deve essere il superamento della resilienza per andare verso l’antifragilità, ovvero una situazione che contempli un numero sufficiente di ridondanze da permettere di affrontare con serenità situazioni non prevedibili. Quando si parla di catena alimentare uno si immagina un numero importante di passaggi, ma in realtà sono al massimo tre sulla terraferma, quattro in acqua.

Vi faccio qualche esempio: erbaruminante-uomo; erba-gazzella-leone (qualcuno qui potrebbe mettere “cacciatore”, ma sarebbe una forzatura alimentare); plancton-pesciolino-tonno-uomo; Quando diventano quattro sulla terraferma vediamo già qualche problema che sarebbe stato bene evitare: fiore-insetto-pipistrello-cinese! L’evoluzione ha trovato un modo semplice e lineare per garantire la vita sulla terra e da questo modo dovremo trarre ispirazione.

Riassumendo e andando sul concreto delle Supply Chain:

  • disegnare catene corte con fornitori multipli e
    logisticamente diversificati;
  • prevedere anche fornitori fisicamente vicini eventualmente da supportare e mantenere attivi pur se economicamente meno performanti rispetto a quelli lontani;
  • auditing dell’intera catena del valore che arrivi al fornitore
    del fornitore e minimizzi i rischi con l’individuazione
    costante di fonti alternative;
  • auditing tecnico e geopolitico per comprendere e anticipare rischi di qualunque natura.

Dal punto di vista manageriale sarà necessario individuare e formare una nuova tipologia di Chief Operation Officer e Supply Chain Director dotati di sensibilità e flessibilità adatte alla gestione dei nuovi scenari. Manager capaci di semplificare e diversificare le catene, che vivano in diretta la realtà dei fornitori, che partecipino agli audit e condividano le decisioni con il resto del team di comando.

Chief Operation Officer e Supply Chain Director con esperienze internazionali in grado di concepire delle architetture di Value Chain che diano il giusto peso al principio di “antifragilità”. Capaci di comprendere e valorizzare i trade-off tra costo di approvvigionamento, livello di servizio, lead time, carbon footprint in diversi scenari di crisi con le relative strategie di approvvigionamento, produzione e distribuzione. Esperti di robotica e ridisegno dei processi industriali per gestire la transizione da processi manuali a un maggiore grado di automazione; culturalmente
aperti a Smart Working & Telepresence, capaci di ridisegnare i processi anche di backoffice per ridurre dipendenza da riunioni di persona e dal vincolo di presenza in uno specifico luogo fisico.

Le nuove parole d’ordine saranno: semplicità, diversificazione, ridondanza, vicinanza, controllo e ricerca dell’antifragilità, senza sottovalutare alcun punto debole della catena.
Sarà necessario inserire nel bilancio di sostenibilità una nuova serie di voci che permettano di valutare in anticipo i prossimi Cigni Neri anche a costo di peggiorare le performance trimestrali, ma nell’ottica di una maggiore sostenibilità nel medio termine, quando – non se, ma quando – si concretizzerà una nuova crisi.

Il Post Coronavirus con Supply Chain antifragili

 

Un articolo di:
Gabriele Ghini

Managing Director Transearch e Presidente ProperDelMare Consulting; Professore a Contratto Università Cattolica
Paolo Rangoni
ex CEO SDA Courier e Supply Chain Director Carrrefour Italy; Distinguished Service Award CSCMP Italy; Membro del Board Council of Supply Chain Management Professionals Italy Roundtable

L’emergenza Coronavirus ci ha messi di fronte ad un’evidenza che per anni abbiamo non solo cercato di ignorare, ma favorito e fortemente implementato, ovvero che per molte produzioni tutto il mondo è Cina-dipendente.

La Cina ha il completo monopolio su innumerevoli componenti dell’elettronica, delle telecomunicazioni, del farmaceutico, di materie prime tessili, dell’automotive, della meccanica e altro. Negli anni l’efficientamento della logistica ha garantito l’economicità e la convenienza della concentrazione produttiva in un solo paese, ma è arrivato il momento di compiere una seria e approfondita analisi su questo modello di produzione.

Una recente analisi di Confindustria ha determinato l’integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore. Come ben illustrato dall’analisi di Confindustria, l’Italia è molto integrata nelle catene del valore globali ed il suo export dipende a monte o a valle per più del 50% dal funzionamento delle catene globali del valore; una loro interruzione o “fragilità” avrebbe impatti superiori in Italia rispetto a molti altri paesi mondiali ed UE.

Gli investimenti degli ultimi anni sono andati verso il controllo digitale della Supply Chain presupponendo il funzionamento ordinato delle varie fasi produttive in un incastro a mosaico sempre più complesso, ma apparentemente controllabile. Nella spasmodica ricerca di economicità si è favorita la ricerca di fornitori specializzati nella produzione di singoli componenti costruendo sistemi apparentemente efficienti, ma, al contempo, decisamente articolati e fragili.

Dalle equazioni della catena del valore sono stati omessi criteri di rischio che sono invece emersi in tutta la loro gravità a seguito della pandemia. La produzione di beni apparentemente a basso valore aggiunto (mascherine e disinfettanti solo per citare esempi emblematici) è stata localizzata nella sua totalità in paesi a basso costo di manodopera e il blocco dei trasporti ne ha causato l’improvvisa assenza dai nostri mercati con l’esplosione di pratiche speculative. Alcune realtà produttive più dinamiche e flessibili hanno rapidamente riconvertito le loro operation per provare a reagire e cercare di compensare le gravi lacune, ma ogni sforzo, anche se encomiabile e ben pubblicizzato non è riuscito a colmare il gap produttivo risalente a scelte perpetrate negli anni.

L’inevitabile conseguenza di questa drammatica situazione sarà un ripensamento globale della produzione e della Supply Chain, ma è fondamentale che si adottino subito dei criteri di risk analysis diversi rispetto al recente passato, che sappiano dare un peso e un valore al minor rischio di catene del valore più corte e con maggiori alternative in caso di failure di un anello della catena.

Un termine frequentemente utilizzato per misurare la tenuta dei processi produttivi è quello di resilienza che vorremmo analizzare e superare in questo articolo. Il significato originario di resilienza è la proprietà di un oggetto di sostenere gli urti senza spezzarsi, assorbendo l’energia che può essere rilasciata in maniera variabile dopo la deformazione. In sintesi, la capacità di resistere agli shock rimanendo uguale a se stesso. La ricerca della resilienza comporta un’analisi del rischio che alla prova dei fatti, non è riuscita ad includere una variabile, come la pandemia, che era stata prevista già da tempo anche se non erano mai stati esaminati con lucidità i possibili impatti su un’economia sempre più globalizzata, frammentata, un vero e proprio gioco a incastri su scala planetaria.

Non si riesce a fare il conto delle volte nelle quali ci siamo sentiti dire da Top Manager di aziende e da Partner di Società di Consulenza Strategica che Produzione e Supply Chain sono delle commodity e l’attenzione deve essere focalizzata su Marketing e Finanza. Se sapremo trarre qualche insegnamento da questa catastrofe, ne seguirà un completo ripensamento del valore di tutti gli aspetti aziendali attribuendo pari dignità a ognuno di essi. E non possiamo certo dire che non eravamo stati avvertiti.

È di queste settimane la riscoperta di un video di Bill Gates del 2015 nel quale avvertiva il mondo della concreta possibilità di una prossima pandemia. Prima ancora di lui, Nassim Taleb, col “Cigno Nero” nel 2007 (un solo anno prima del 2008) e “Antifragilità. Prosperare nel disordine” nel 2013, aveva fornito il materiale concettuale per anticipare le inevitabili crisi e organizzarci di conseguenza.

Ascoltate questo passaggio: "Oggi nella vita socio economica quasi tutte le cose sono dominate dai Cigni Neri. Il nostro grado di sofisticazione ci porta continuamente oltre noi stessi, cercando cose che siamo sempre meno capaci di comprendere”.

L’affermazione “non era mai successo prima” non è una scusa adeguata per giustificare i nostri comportamenti sbagliati di fronte all’emergenza. Più le società diventano complesse con innovazioni sempre più sofisticate e con crescente specializzazione più sono esposte al tracollo.

Contrariamente a ciò che si pensa un sistema complesso non ha bisogno di strutture regole complicate, né di politiche astruse. Più semplice è meglio è.

Complicando si innescano reazioni a catena che moltiplicano gli effetti imprevedibili”. Se queste sono le nozioni teoriche sulle quali basare le nostre catene produttive e distributive, i paradigmi vanno radicalmente modificati. L’obiettivo deve essere il superamento della resilienza per andare verso l’antifragilità, ovvero una situazione che contempli un numero sufficiente di ridondanze da permettere di affrontare con serenità situazioni non prevedibili. Quando si parla di catena alimentare uno si immagina un numero importante di passaggi, ma in realtà sono al massimo tre sulla terraferma, quattro in acqua.

Vi faccio qualche esempio: erbaruminante-uomo; erba-gazzella-leone (qualcuno qui potrebbe mettere “cacciatore”, ma sarebbe una forzatura alimentare); plancton-pesciolino-tonno-uomo; Quando diventano quattro sulla terraferma vediamo già qualche problema che sarebbe stato bene evitare: fiore-insetto-pipistrello-cinese! L’evoluzione ha trovato un modo semplice e lineare per garantire la vita sulla terra e da questo modo dovremo trarre ispirazione.

Riassumendo e andando sul concreto delle Supply Chain:

  • disegnare catene corte con fornitori multipli e
    logisticamente diversificati;
  • prevedere anche fornitori fisicamente vicini eventualmente da supportare e mantenere attivi pur se economicamente meno performanti rispetto a quelli lontani;
  • auditing dell’intera catena del valore che arrivi al fornitore
    del fornitore e minimizzi i rischi con l’individuazione
    costante di fonti alternative;
  • auditing tecnico e geopolitico per comprendere e anticipare rischi di qualunque natura.

Dal punto di vista manageriale sarà necessario individuare e formare una nuova tipologia di Chief Operation Officer e Supply Chain Director dotati di sensibilità e flessibilità adatte alla gestione dei nuovi scenari. Manager capaci di semplificare e diversificare le catene, che vivano in diretta la realtà dei fornitori, che partecipino agli audit e condividano le decisioni con il resto del team di comando.

Chief Operation Officer e Supply Chain Director con esperienze internazionali in grado di concepire delle architetture di Value Chain che diano il giusto peso al principio di “antifragilità”. Capaci di comprendere e valorizzare i trade-off tra costo di approvvigionamento, livello di servizio, lead time, carbon footprint in diversi scenari di crisi con le relative strategie di approvvigionamento, produzione e distribuzione. Esperti di robotica e ridisegno dei processi industriali per gestire la transizione da processi manuali a un maggiore grado di automazione; culturalmente
aperti a Smart Working & Telepresence, capaci di ridisegnare i processi anche di backoffice per ridurre dipendenza da riunioni di persona e dal vincolo di presenza in uno specifico luogo fisico.

Le nuove parole d’ordine saranno: semplicità, diversificazione, ridondanza, vicinanza, controllo e ricerca dell’antifragilità, senza sottovalutare alcun punto debole della catena.
Sarà necessario inserire nel bilancio di sostenibilità una nuova serie di voci che permettano di valutare in anticipo i prossimi Cigni Neri anche a costo di peggiorare le performance trimestrali, ma nell’ottica di una maggiore sostenibilità nel medio termine, quando – non se, ma quando – si concretizzerà una nuova crisi.

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